Carissimi sudditi, non potete neppure arrivare a immaginare il piacere che mi fa rivedervi. Forse perché siete dei microcefali privi di immaginazione? O forse perché in effetti non provo alcun piacere nell'essere qui, oggi? Mah. Ad ogni modo mi consola il fatto che in quest'occasione non sia il Bardo ad allietarci con le sue solenni boiate. Sono qui, infatti, per presentarvi il nuovissimo capitolo della storia di PM, che si preannuncia ricco di emozioni e colpi di scena, con una difficile decisione da prendere alla fine. Spero che quei pochi neuroni che vi sono rimasti siano sufficienti per consentirvi una scelta.
Detto questo prendo congedo, ho degli importanti affari di stato da sbrigare, affari che comprendono una bottiglia di gin, un mazzo di carte e il marchese Walton Warrington di Boezia. Voi divertitevi con questo nuovo capitolo.
Vostro indaffarato,
Archibald Lecter, Segretario Particolare del Re
di PM
Il
ratto messaggero era arrivato alla Locanda due giorni prima. Ander
aveva aperto la porta per buttare fuori qualcuno ed eccolo li, sulla
sottile lastra di pietra che divideva l’interno del locale dal
resto del Quartiere Vecchio. Per la sorpresa aveva lasciato andare
l’ubriacone che teneva per il bavero e si era affrettato a
raccogliere l’animale, preoccupato che qualcuno potesse vederlo.
Non che i ratti fossero ospiti insoliti alla Locanda, ma un ratto
messaggero non era qualcosa da prendere alla leggera.
Con
una rapida mossa se l’era infilato in tasca, aveva riagguantato
l’uomo che ciondolava gonfio d’alcol appoggiato al muro e lo
aveva gettato malamente in strada, prima di sbattere la porta e
tornare velocemente dietro al bancone. Lì, al riparo dagli sguardi
dei pochi avventori ancora vagamente sobri a quell’ora del mattino,
aveva slegato con cura la piccola pergamena dalla coda dell’animale
e aveva gettato il cadavere senza testa nel secchio dei rifiuti. Il
messaggio, vergato in una grafia d’altri tempi, gli comunicava che
aveva “tre albe di tempo per retistutire”
quello
che aveva tolto con la forza al Guercio, che “secondo il diritto di
prima ritrovazione”
ne
era il legittimo proprietario. Oltre quella scadenza i mendicanti
avrebbero fatto “quello che era neccesario”
per
rimediare al torto subito. Il biglietto proseguiva con varie
allusioni alla precaria sicurezza sua personale e della sua locanda.
Era firmato da Malasorte.
Aveva
ripiegato la pergamena e l’aveva buttata nel fuoco, con un'unica
cosa in mente: salire al piano di sopra e farsi raccontare tutto
dalla strega, del perché era li e perché Malasorte la stesse
cercando con tanta determinazione. E la strega, infine, aveva
parlato, e aveva parlato a lungo. Gli aveva raccontato del mostro
nella foresta, della ragazza bionda e dell’inquisitore di Thorm.
Del viaggio fino in Capitale e del mago del fuoco che li aspettava al
guado sul fiume. E a un certo punto del racconto Ander era passato
dall’indifferenza che si prova verso un oggetto destinato alla
vendita al dubbio, prima, e alla compassione poi.
E
ancora adesso si stava chiedendo quando, esattamente, aveva deciso di
slegare la strega e portarla con sé nelle fogne.
“Io
non ho ancora capito perché stiamo andando noi da loro” chiese
Marianna rivolta alla nuca del mezzo-nano. Indossava dei pantaloni di
cuoio strettissimi (“...li ha dimenticati qui qualcuna…”) e una
corta tunica troppo leggera per poter essere definita un indumento a
tutti gli effetti. Almeno Ander le aveva dato una pesante mantella
bordata di pelliccia (“..meglio coprire quei capelli, Rossa!”)
che la proteggeva dall’aria umida del primo mattino.
Il
mezzo-nano grugni qualcosa in risposta e continuò a camminare a
testa bassa. Anche lui era quasi completamente nascosto da un lungo
mantello di lana, da cui spuntava una tracolla di pelle molto grande,
che ciondolava ritmicamente ad ogni suo passo.
Non
avevano incontrato quasi nessuno da quando erano usciti dalla
Locanda, ma ogni volta che incrociavano un passante, fosse una
prostituta che tornava a casa dopo il lavoro o un manovale che
scendeva al fiume, Ander accelerava il passo, insieme si calavano i
cappucci sul viso e rimanevano in silenzio per molto tempo anche dopo
che gli sconosciuti erano spariti dalla vista.
“I
vicoli hanno occhi e orecchie, Rossa, dobbiamo sbrigarci, almeno
finchè non arriviamo alle fogne” le aveva spiegato lui quella
mattina, lasciando pero’ molto del suo piano avvolto nel mistero.
Marianna,
da parte sua, aveva il sentore che ci fosse qualcosa di profondamente
sbagliato nell’andare a minacciare un gruppo di disperati
direttamente a casa loro: non si va a caccia di una belva rabbiosa
proprio nella sua tana, a meno di non essere in tanti e possibilmente
ben armati. Loro invece erano in due, e lei non aveva neanche il suo
bastone: nonostante tutti gli sforzi e gli incantamenti che aveva
usato su Ander, non era riuscita a farselo restituire, e alla fine lo
avevano lasciato alla Locanda. Nemmeno il mezzo-nano sembrava portare
con se alcuna arma, anche se il largo mantello avrebbe potuto
nascondere qualsiasi cosa. E Marianna sperava fortemente che fosse
così.
Svoltarono
a destra e si trovarono in uno slargo fra le case addossate le une
sulle altre. Al centro della piccola piazza una statua sfregiata
dagli elementi era ricoperta da ritagli di stoffa di molti colori e
fantasie, incollati alla pietra dalla nebbia della nottata
precedente. Gli stracci piu’ vecchi erano sfilacciati e slavati
dalla pioggia e dal sole, mentre quelli nuovi spiccavano sul grigio
uniforme della pietra.
“Che
cos'è quella statua?” chiese Marianna ad Ander.
Il
mezzo-nano non alzò nemmeno lo sguardo mentre si dirigeva con
sicurezza verso la parte opposta della piazza “Quella e’ Maeth,
la dea delle nascite” rispose.
“Perché è ricoperta di stracci?” chiese ancora lei, affrettandosi a
seguirlo.
“Ogni
volta che un bambino nasce morto la madre attacca un pezzo del
vestito alla statua. E’ per l’anima del bambino. Credono che gli
servirà a qualcosa”.
Marianna
si voltò a guardare ancora, senza parole. Nella luce del mattino
gli stracci sembravano un lungo vestito, che dalle spalle della dea
scendeva quasi fino a terra. Senti’ una fitta gelida nel petto.
“Non
capisco...” disse a bassa voce.
“Non
c’è nulla da capire, Rossa, quella statua è li da prima che
mio padre arrivasse in città, e sempre ci resterà. Alla gente
piace.” rispose Ander mentre trafficava con la porta sbarrata
dell’unico edificio di pietra della piazzetta.
"Ma…
Non capisco che bisogno c’è di fare una cosa del genere...”
disse Marianna fissando i ritagli di stoffa. Ander distolse lo
sguardo da quello che stava facendo e lo posò su di lei. “Rossa,
primo non sono qui per spiegarti come funziona questa maledetta
città, quindi puoi smetterla di fare domande ogni volta che
incrociamo un tempio, un altare o una merdosa statua coperta di
stracci. Secondo, non lo so nemmeno io perché lo fanno, immagino
che li faccia star meglio pensare che a qualcuno gliene freghi
qualcosa se il loro bambino è morto, anche se quel qualcuno è solo un vecchio pezzo di pietra”. Aveva parlato velocemente, con
voce calma e uniforme, e ancora una volta Marianna si stupì di
come parole dure come quelle potessero venire pronunciate in modo
così naturale. Poi Ander tornò a occuparsi della porta chiusa
“Quindi lasciami fare il mio lavoro qui, prima che quegli
straccioni capiscano cosa stiamo cercando di fare”.
Marianna
rimase in silenzio a lungo, passando lo sguardo dalla statua al resto
della piazzetta, come per controllare che nessuno stesse arrivando
proprio in quel momento, poi chiese a bassa voce: “Vorrei capire
cos’e’ quello che stiamo cercando di fare”.
Ander
fece scattare qualcosa vicino allo stipite della porta e una delle
lastre di pietra della piazza si apri’ rivelando un pozzo buio.
“Stiamo scendendo direttamente in casa di Malasorte per spiegarle
il mio punto di vista circa il tuo ritrovamento” disse il
mezzo-nano con tono professionale. Dopodichè si rimise in piedi e
si diresse senza esitazione verso il passaggio che si era aperto ai
piedi della statua di Maeth, con aria soddisfatta. Marianna invece
non si mosse “E non hai pensato che forse questa Malasorte potrebbe
non essere interessata ad ascoltare il tuo punto di vista, ma forse
piu’ a riprendersi me e a farti sparire nelle fogne per sempre?”
gli sibilò contro.
Ander
si fermò all’inizio della scala che scendeva nei sotterranei
della citta’ “Fidati, Rossa, nessuno farà sparire Ander il
Mezzonano, nemmeno Malasorte e i suoi scagnozzi cenciosi. Inoltre”
disse mentre un sorriso malvagio gli si disegnava in volto “nessuno
puo’
mandarmi un ratto messaggero e sperare di passarla liscia, è una
questione di principio”.
Il
Falco guardò la sua carceriera rimettere a posto lo sgabello e
dirigersi verso la porta della cella. Con voce roca sussurrò un
“grazie”, cosi’ debolmente che la ragazzina non sembrò nemmeno sentirlo. Invece si affrettò con quella sua andatura
trascinata verso l’anello della porta, e vi si aggrappò con
forza. C’era qualcosa di strano, pensò il Falco. La porta si
spalancò e il fagotto di cenci si affrettò ad uscire, ma questa
volta qualcosa era diverso dal solito: il Falco poteva sentire un
gran rumore provenire dall’esterno della cella; e prima che la
porta si richiudesse riusci’ a scorgere delle figure in movimento.
“Ci
siamo” penso’ “stanno arrivando”.
Ander
correva lungo il passaggio di pietra guidato solo dalla fiaccola che
stringeva in mano.
Ogni
tanto si girava per controllare che la strega fosse ancora dietro di
lui e che, ancora piu’ indietro, non ci fosse nessuno. Il piano era
semplice: sarebbe dovuto scendere la’ sotto senza farsi notare,
trovare Malasorte e farle capire che non si minaccia un affiliato
alla mafia nanica senza subirne le conseguenze. Avrebbe spaccato
qualche osso (preferibilmente non quelli di Malasorte, non voleva
uccidere la vecchia) e sarebbe uscito così come era entrato.
Si
chiese per l’ennesima volta che cosa l’avesse spinto a portare la
strega con sé.
Ormai,
comunque, il piano era saltato, la Rossa aveva aperto una porta che
non doveva essere aperta e aveva disturbato qualcosa che non doveva
essere disturbato, e la cosa migliore adesso era cercare di uscire di
li’ prima che tutte le fogne comiciassero a cercarli. Conosceva il
sottosuolo della Capitale abbastanza bene da riuscire a portare a
casa le ossa tutte insieme. O almeno cosi’ sperava.
Dietro
di lui Marianna urlò qualcosa e Ander si girò di scatto: la
vide ferma, in piedi vicino alla parete del corridoio, con una mano
appoggiata al muro. Poteva sentire le urla dei loro inseguitori
riecheggiare nelle ombre alle spalle della donna. E non solo le loro.
“Denti
di Carcione!” urlò ancora la strega indicando il muro. “Cosa?!”
balbettò Ander incredulo.
Marianna
gli lanciò uno sguardo significativo e strappò un ciuffo di
licheni, se li cacciò in bocca e masticò ad occhi chiusi un
paio di volte. Poi si voltò in direzione delle urla e sputò.
Appena l'impiastro di erbe masticate toccò terra cominciò a
germogliare. La strega, con i palmi rivolti verso l’alto, sollevò le braccia e le piantine crebbero in un istante, fino a riempire
tutto il corridoio con rami spessi e nodosi. Marianna batté le
mani una volta e le piante si ricoprirono di spine grandi come
pugnali, bloccando il passaggio ai loro inseguitori, che urlarono di
dolore e impotenza. La strega si voltò verso di lui, sfoderò un
sorriso compiaciuto e lo superò di corsa. Ander rimase ancora un
istante a guardare i rovi con la bocca aperta “Tu...tu...strega!”
urlò, e le corse dietro.
Passarono
sotto un basso arco di pietra e si trovarono in cima a una breve
scalinata, davanti alla quale l’ennesimo corridoio si perdeva nel
buio. Il mezzo-nano scese i gradini a due a due, con la tracolla che
minacciava di volare via ad ogni passo, e quando arrivò in fondo
alla scalinata imprecò ad alta voce: era nell’acqua fino alla
coscia. “Cosa facciamo?” chiese Marianna, trafelata. Ander si
girò verso di lei e per la prima volta le sembrò di vedere una
sfumatura di indecisione nel suo sguardo.
“Quei
bastardi non mollano, stanno già arrivando” disse corrugando la
fronte “andiamo avanti” e prese ad arrancare lungo il corridoio
allagato.
Anche
Marianna entrò nell’acqua, e scoprì che era gelida e fangosa.
Dopo i primi passi un tanfo di putrefazione cominciò ad alzarsi
dalla superficie, quando la melma sul fondo tornò a galla smossa
dal loro passaggio. Si mise un braccio davanti alla bocca cercando di
respirare il meno possibile. Il soffitto era molto alto e la
torcia del mezzo-nano non arrivava ad illuminarlo, tanto che le
sembrava di essere sospesa fra il buio che li circondava e la
superficie nera dell’acqua, su cui si riflettevano le loro figure
deformate dalle onde. Marianna era grata che non ci fosse abbastanza
luce per vedere su cosa stessero camminando.
“Ci
sono delle porte piu’ avanti, Rossa” disse Ander a bassa voce, ma
il suono riecheggiò fra le pareti di pietra. Mentre il mezzo-nano
si dirigeva verso la prima delle grandi porte di legno che si
aprivano sul muro alla loro destra, Marianna si affrettò verso la
successiva: provò a girare la grande maniglia di ferro un paio di
volte, ma era chiusa. Allora ci si scagliò contro con tutto il
peso del corpo, ma il legno non si mosse. “Anche quella è sbarrata” disse Ander passandole accanto “Proviamo le altre”.
Provarono
tutte le porte del corridoio, ma senza fortuna. Quando arrivarono a
pochi metri dalla scalinata che segnava la fine di quel passaggio,
sentirono dalla parte opposta del corridoio il rumore dei loro
inseguitori che entravano in acqua. Un grosso tonfo annunciò loro che anche quella
cosa
ormai
era molto vicina a raggiungerli. Ander si gettò di peso
sull’ultima porta, ma nemmeno quella si aprì. “Sbrigati!” lo
incitò Marianna. Percorsero l’ultimo tratto che li divideva
dalla fine del passaggio quasi correndo, e quando raggiunsero le
scale, ansimanti, si voltarono verso il corridoio allagato. Potevano
sentire chiaramente il rumore di qualcosa di grosso che si muoveva
nell’acqua bassa.
Salirono
i pochi gradini davanti a loro in un attimo, e una volta giunti in
cima alla scala Marianna si lasciò sfuggire un gemito: il basso
arco di pietra che conduceva all’uscita era sbarrato da un’enorme
grata di ferro. Ander ci si aggrappò e la scosse con violenza, ma
non ottenne nessun risultato. “Siamo fottuti” mormorò a bassa
voce “Guarda sui muri, ci dev’essere una leva…” le disse
gettandosi carponi ad ispezionare i mattoni della parete. Marianna lo
guardò per un istante ansimando, poi disse “Vieni, presto, mi
serve la torcia”. Scese di nuovo le scale da cui erano saliti,
tirando fuori dalle vesti un’ampolla di liquido scuro. Giunta sul
bordo dell’acqua si inginocchiò e aprì la boccetta.
“Cos’è quello?” chiese Ander raggiungendola. Marianna fece cadere in acqua
una singola goccia del liquido denso e scuro, che alla luce della
torcia cambiò colore una moltitudine di volte. “Olio di
salamandra” rispose, ed allungò le mani sopra la macchia oleosa
che galleggiava di fronte a lei. Il rumore di qualcuno che correva
nell’acqua si faceva sempre più vicino. Marianna sussurrò qualcosa e la macchia si dilatò a dismisura, ricoprendo l’acqua
del corridoio come una pellicola multicolore.
“Avvicina
la torcia, e fai attenzione” ordinò al mezzo-nano. Ander scese
l’ultimo gradino e abbassò la torcia. Subito l’olio prese
fuoco, e le fiamme si propagarono sulla superficie dell’acqua come
un'onda. Pochi istanti dopo urla lancinanti arrivarono dalla parte
opposta del corridoio. “Brucerà per due giorni e due notti”
disse Marianna con voce stanca “Ora non possiamo piu’ tornare
indietro, ma almeno avremo un po’ di tempo per aprire quella grata…
se è veramente possibile aprirla”.
Tornarono
in cima alla scalinata con il cuore pesante, e ogni gradino sembrava
più alto del precedente. Quando furono in cima Ander le fece cenno
di stare zitta. Il mezzo-nano tese l’orecchio e rimase in silenzio
per alcuni istanti “Sta arrivando qualcuno anche da questa parte”
disse con voce grave “sono tanti e armati, credo. Siamo proprio
fottuti”. Marianna sospiro’ e si guardo’ intorno con aria
rassegnata “Possibile che non hai portato nemmeno un’arma? Una
spada, un’ascia... sei un nano, maledizione!” sbotto’.
Ander
si inginocchio’ e posò la grande tracolla a terra. “Primo,
Rossa, non sono un nano. Attenta a quella bocca. Secondo, non sono
cresciuto in una fottuta armeria di qualche fottuto nobile, ma in una
locanda. Pensi che mio padre mi abbia insegnato a usare la spada?”
Parlava senza alzare lo sguardo dalla tracolla, rovistando
all'interno con le braccia sprofondate fino al gomito “In compenso
ne so qualcosa di risse” concluse, tirando fuori dalla sacca quelli
che sembravano dei grossi guanti d’arme. Erano di metallo scuro,
molto piu’ grandi delle mani del mezzo-nano, ricoperti da disegni e
strani simboli. Due grosse saette di metallo bianco scendevano dalle
nocche fino agli avambracci. Ander li indossò velocemente e li
fece cozzare l’uno contro l’altro, provocando scintille e un
tenue odore di zolfo “Tirapugni Vorpalpiucinque Deldiodelfulmine”
disse con il suo ghigno malvagio “Le Mani di Ragbi”.
La
parete della cella esplose, e schegge di pietra volarono in ogni
direzione. Il Falco si destò dal torpore in cui era sprofondato e
tossendo per la polvere alzò lo sguardo in direzione della
voragine che si era aperta nel muro alla sua sinistra. Un cono di
luce penetrava dall’esterno, e nel polverone che lentamente si
andava posando poté distinguere due sagome. Il
Nano e la Serpe,
pensò con sollievo in un primo momento, ma a una seconda occhiata si
accorse che c’era qualcosa di diverso nelle due figure che
avanzavano fra le macerie.
E
fu cosi’ che Ander il Mezzonano incontrò il Falco, in una delle
celle dimenticate dei sotterranei della Capitale. Secondo una
versione della storia il locandiere capì subito chi era il
prigioniero, e fece tutto il possibile per riportarlo al Nano,
arrivando a pagare un duro prezzo per la sua decisione. Altri invece
raccontano che fu solo per un caso fortuito che il mezzo-nano e la
strega decisero di portare con loro il prigioniero, e l’abilita’
del Falco si rivelò decisiva nel momento del bisogno, anche se non
sufficiente a garantire l’incolumita’ di tutti e tre. Infine
esiste un racconto secondo il quale Marianna la Strega sfidò Malasorte in un duello di magia, così da permettere ai suoi
compagni di fuggire.
Quale
che sia la storia che desiderate ascoltare, tenete bene a mente che
uscire dai domini sotterranei dei mendicanti non fu cosa semplice, e
solo due dei tre fuggitivi tornarono a vedere la luce del sole quel
giorno...
"Non tutti i topi sognano di diventare messaggeri..."
L'episodio precedente lo trovate QUI o nell'indice, come al solito!