martedì 22 aprile 2014

Giù! Nelle fogne...



Carissimi sudditi, non potete neppure arrivare a immaginare il piacere che mi fa rivedervi. Forse perché siete dei microcefali privi di immaginazione? O forse perché in effetti non provo alcun piacere nell'essere qui, oggi? Mah. Ad ogni modo mi consola il fatto che in quest'occasione non sia il Bardo ad allietarci con le sue solenni boiate. Sono qui, infatti, per presentarvi il nuovissimo capitolo della storia di PM, che si preannuncia ricco di emozioni e colpi di scena, con una difficile decisione da prendere alla fine. Spero che quei pochi neuroni che vi sono rimasti siano sufficienti per consentirvi una scelta.
Detto questo prendo congedo, ho degli importanti affari di stato da sbrigare, affari che comprendono una bottiglia di gin, un mazzo di carte e il marchese Walton Warrington di Boezia. Voi divertitevi con questo nuovo capitolo.

Vostro indaffarato,

Archibald Lecter, Segretario Particolare del Re


di PM


Il ratto messaggero era arrivato alla Locanda due giorni prima. Ander aveva aperto la porta per buttare fuori qualcuno ed eccolo li, sulla sottile lastra di pietra che divideva l’interno del locale dal resto del Quartiere Vecchio. Per la sorpresa aveva lasciato andare l’ubriacone che teneva per il bavero e si era affrettato a raccogliere l’animale, preoccupato che qualcuno potesse vederlo. Non che i ratti fossero ospiti insoliti alla Locanda, ma un ratto messaggero non era qualcosa da prendere alla leggera.
Con una rapida mossa se l’era infilato in tasca, aveva riagguantato l’uomo che ciondolava gonfio d’alcol appoggiato al muro e lo aveva gettato malamente in strada, prima di sbattere la porta e tornare velocemente dietro al bancone. Lì, al riparo dagli sguardi dei pochi avventori ancora vagamente sobri a quell’ora del mattino, aveva slegato con cura la piccola pergamena dalla coda dell’animale e aveva gettato il cadavere senza testa nel secchio dei rifiuti. Il messaggio, vergato in una grafia d’altri tempi, gli comunicava che aveva “tre albe di tempo per retistutirequello che aveva tolto con la forza al Guercio, che “secondo il diritto di prima ritrovazionene era il legittimo proprietario. Oltre quella scadenza i mendicanti avrebbero fatto “quello che era neccesarioper rimediare al torto subito. Il biglietto proseguiva con varie allusioni alla precaria sicurezza sua personale e della sua locanda. Era firmato da Malasorte.
Aveva ripiegato la pergamena e l’aveva buttata nel fuoco, con un'unica cosa in mente: salire al piano di sopra e farsi raccontare tutto dalla strega, del perché era li e perché Malasorte la stesse cercando con tanta determinazione. E la strega, infine, aveva parlato, e aveva parlato a lungo. Gli aveva raccontato del mostro nella foresta, della ragazza bionda e dell’inquisitore di Thorm. Del viaggio fino in Capitale e del mago del fuoco che li aspettava al guado sul fiume. E a un certo punto del racconto Ander era passato dall’indifferenza che si prova verso un oggetto destinato alla vendita al dubbio, prima, e alla compassione poi.
E ancora adesso si stava chiedendo quando, esattamente, aveva deciso di slegare la strega e portarla con sé nelle fogne.



Io non ho ancora capito perché stiamo andando noi da loro” chiese Marianna rivolta alla nuca del mezzo-nano. Indossava dei pantaloni di cuoio strettissimi (“...li ha dimenticati qui qualcuna…”) e una corta tunica troppo leggera per poter essere definita un indumento a tutti gli effetti. Almeno Ander le aveva dato una pesante mantella bordata di pelliccia (“..meglio coprire quei capelli, Rossa!”) che la proteggeva dall’aria umida del primo mattino.
Il mezzo-nano grugni qualcosa in risposta e continuò a camminare a testa bassa. Anche lui era quasi completamente nascosto da un lungo mantello di lana, da cui spuntava una tracolla di pelle molto grande, che ciondolava ritmicamente ad ogni suo passo.
Non avevano incontrato quasi nessuno da quando erano usciti dalla Locanda, ma ogni volta che incrociavano un passante, fosse una prostituta che tornava a casa dopo il lavoro o un manovale che scendeva al fiume, Ander accelerava il passo, insieme si calavano i cappucci sul viso e rimanevano in silenzio per molto tempo anche dopo che gli sconosciuti erano spariti dalla vista.
I vicoli hanno occhi e orecchie, Rossa, dobbiamo sbrigarci, almeno finchè non arriviamo alle fogne” le aveva spiegato lui quella mattina, lasciando pero’ molto del suo piano avvolto nel mistero.
Marianna, da parte sua, aveva il sentore che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato nell’andare a minacciare un gruppo di disperati direttamente a casa loro: non si va a caccia di una belva rabbiosa proprio nella sua tana, a meno di non essere in tanti e possibilmente ben armati. Loro invece erano in due, e lei non aveva neanche il suo bastone: nonostante tutti gli sforzi e gli incantamenti che aveva usato su Ander, non era riuscita a farselo restituire, e alla fine lo avevano lasciato alla Locanda. Nemmeno il mezzo-nano sembrava portare con se alcuna arma, anche se il largo mantello avrebbe potuto nascondere qualsiasi cosa. E Marianna sperava fortemente che fosse così.



Svoltarono a destra e si trovarono in uno slargo fra le case addossate le une sulle altre. Al centro della piccola piazza una statua sfregiata dagli elementi era ricoperta da ritagli di stoffa di molti colori e fantasie, incollati alla pietra dalla nebbia della nottata precedente. Gli stracci piu’ vecchi erano sfilacciati e slavati dalla pioggia e dal sole, mentre quelli nuovi spiccavano sul grigio uniforme della pietra.
Che cos'è quella statua?” chiese Marianna ad Ander.
Il mezzo-nano non alzò nemmeno lo sguardo mentre si dirigeva con sicurezza verso la parte opposta della piazza “Quella e’ Maeth, la dea delle nascite” rispose.
Perché è ricoperta di stracci?” chiese ancora lei, affrettandosi a seguirlo.
Ogni volta che un bambino nasce morto la madre attacca un pezzo del vestito alla statua. E’ per l’anima del bambino. Credono che gli servirà a qualcosa”.
Marianna si voltò a guardare ancora, senza parole. Nella luce del mattino gli stracci sembravano un lungo vestito, che dalle spalle della dea scendeva quasi fino a terra. Senti’ una fitta gelida nel petto.
Non capisco...” disse a bassa voce.
Non c’è nulla da capire, Rossa, quella statua è li da prima che mio padre arrivasse in città, e sempre ci resterà. Alla gente piace.” rispose Ander mentre trafficava con la porta sbarrata dell’unico edificio di pietra della piazzetta.
"Ma… Non capisco che bisogno c’è di fare una cosa del genere...” disse Marianna fissando i ritagli di stoffa. Ander distolse lo sguardo da quello che stava facendo e lo posò su di lei. “Rossa, primo non sono qui per spiegarti come funziona questa maledetta città, quindi puoi smetterla di fare domande ogni volta che incrociamo un tempio, un altare o una merdosa statua coperta di stracci. Secondo, non lo so nemmeno io perché lo fanno, immagino che li faccia star meglio pensare che a qualcuno gliene freghi qualcosa se il loro bambino è morto, anche se quel qualcuno è solo un vecchio pezzo di pietra”. Aveva parlato velocemente, con voce calma e uniforme, e ancora una volta Marianna si stupì di come parole dure come quelle potessero venire pronunciate in modo così naturale. Poi Ander tornò a occuparsi della porta chiusa “Quindi lasciami fare il mio lavoro qui, prima che quegli straccioni capiscano cosa stiamo cercando di fare”.
Marianna rimase in silenzio a lungo, passando lo sguardo dalla statua al resto della piazzetta, come per controllare che nessuno stesse arrivando proprio in quel momento, poi chiese a bassa voce: “Vorrei capire cos’e’ quello che stiamo cercando di fare”.
Ander fece scattare qualcosa vicino allo stipite della porta e una delle lastre di pietra della piazza si apri’ rivelando un pozzo buio. “Stiamo scendendo direttamente in casa di Malasorte per spiegarle il mio punto di vista circa il tuo ritrovamento” disse il mezzo-nano con tono professionale. Dopodichè si rimise in piedi e si diresse senza esitazione verso il passaggio che si era aperto ai piedi della statua di Maeth, con aria soddisfatta. Marianna invece non si mosse “E non hai pensato che forse questa Malasorte potrebbe non essere interessata ad ascoltare il tuo punto di vista, ma forse piu’ a riprendersi me e a farti sparire nelle fogne per sempre?” gli sibilò contro.
Ander si fermò all’inizio della scala che scendeva nei sotterranei della citta’ “Fidati, Rossa, nessuno farà sparire Ander il Mezzonano, nemmeno Malasorte e i suoi scagnozzi cenciosi. Inoltre” disse mentre un sorriso malvagio gli si disegnava in volto “nessuno puo’ mandarmi un ratto messaggero e sperare di passarla liscia, è una questione di principio”.



Il Falco guardò la sua carceriera rimettere a posto lo sgabello e dirigersi verso la porta della cella. Con voce roca sussurrò un “grazie”, cosi’ debolmente che la ragazzina non sembrò nemmeno sentirlo. Invece si affrettò con quella sua andatura trascinata verso l’anello della porta, e vi si aggrappò con forza. C’era qualcosa di strano, pensò il Falco. La porta si spalancò e il fagotto di cenci si affrettò ad uscire, ma questa volta qualcosa era diverso dal solito: il Falco poteva sentire un gran rumore provenire dall’esterno della cella; e prima che la porta si richiudesse riusci’ a scorgere delle figure in movimento.
Ci siamo” penso’ “stanno arrivando”.



Ander correva lungo il passaggio di pietra guidato solo dalla fiaccola che stringeva in mano.
Ogni tanto si girava per controllare che la strega fosse ancora dietro di lui e che, ancora piu’ indietro, non ci fosse nessuno. Il piano era semplice: sarebbe dovuto scendere la’ sotto senza farsi notare, trovare Malasorte e farle capire che non si minaccia un affiliato alla mafia nanica senza subirne le conseguenze. Avrebbe spaccato qualche osso (preferibilmente non quelli di Malasorte, non voleva uccidere la vecchia) e sarebbe uscito così come era entrato.
Si chiese per l’ennesima volta che cosa l’avesse spinto a portare la strega con sé.
Ormai, comunque, il piano era saltato, la Rossa aveva aperto una porta che non doveva essere aperta e aveva disturbato qualcosa che non doveva essere disturbato, e la cosa migliore adesso era cercare di uscire di li’ prima che tutte le fogne comiciassero a cercarli. Conosceva il sottosuolo della Capitale abbastanza bene da riuscire a portare a casa le ossa tutte insieme. O almeno cosi’ sperava.
Dietro di lui Marianna urlò qualcosa e Ander si girò di scatto: la vide ferma, in piedi vicino alla parete del corridoio, con una mano appoggiata al muro. Poteva sentire le urla dei loro inseguitori riecheggiare nelle ombre alle spalle della donna. E non solo le loro.
Denti di Carcione!” urlò ancora la strega indicando il muro. “Cosa?!” balbettò Ander incredulo.
Marianna gli lanciò uno sguardo significativo e strappò un ciuffo di licheni, se li cacciò in bocca e masticò ad occhi chiusi un paio di volte. Poi si voltò in direzione delle urla e sputò. Appena l'impiastro di erbe masticate toccò terra cominciò a germogliare. La strega, con i palmi rivolti verso l’alto, sollevò le braccia e le piantine crebbero in un istante, fino a riempire tutto il corridoio con rami spessi e nodosi. Marianna batté le mani una volta e le piante si ricoprirono di spine grandi come pugnali, bloccando il passaggio ai loro inseguitori, che urlarono di dolore e impotenza. La strega si voltò verso di lui, sfoderò un sorriso compiaciuto e lo superò di corsa. Ander rimase ancora un istante a guardare i rovi con la bocca aperta “Tu...tu...strega!” urlò, e le corse dietro.



Passarono sotto un basso arco di pietra e si trovarono in cima a una breve scalinata, davanti alla quale l’ennesimo corridoio si perdeva nel buio. Il mezzo-nano scese i gradini a due a due, con la tracolla che minacciava di volare via ad ogni passo, e quando arrivò in fondo alla scalinata imprecò ad alta voce: era nell’acqua fino alla coscia. “Cosa facciamo?” chiese Marianna, trafelata. Ander si girò verso di lei e per la prima volta le sembrò di vedere una sfumatura di indecisione nel suo sguardo.
Quei bastardi non mollano, stanno già arrivando” disse corrugando la fronte “andiamo avanti” e prese ad arrancare lungo il corridoio allagato.
Anche Marianna entrò nell’acqua, e scoprì che era gelida e fangosa. Dopo i primi passi un tanfo di putrefazione cominciò ad alzarsi dalla superficie, quando la melma sul fondo tornò a galla smossa dal loro passaggio. Si mise un braccio davanti alla bocca cercando di respirare il meno possibile.  Il soffitto era molto alto e la torcia del mezzo-nano non arrivava ad illuminarlo, tanto che le sembrava di essere sospesa fra il buio che li circondava e la superficie nera dell’acqua, su cui si riflettevano le loro figure deformate dalle onde. Marianna era grata che non ci fosse abbastanza luce per vedere su cosa stessero camminando.
Ci sono delle porte piu’ avanti, Rossa” disse Ander a bassa voce, ma il suono riecheggiò fra le pareti di pietra. Mentre il mezzo-nano si dirigeva verso la prima delle grandi porte di legno che si aprivano sul muro alla loro destra, Marianna si affrettò verso la successiva: provò a girare la grande maniglia di ferro un paio di volte, ma era chiusa. Allora ci si scagliò contro con tutto il peso del corpo, ma il legno non si mosse. “Anche quella è sbarrata” disse Ander passandole accanto “Proviamo le altre”.
Provarono tutte le porte del corridoio, ma senza fortuna. Quando arrivarono a pochi metri dalla scalinata che segnava la fine di quel passaggio, sentirono dalla parte opposta del corridoio il rumore dei loro inseguitori che entravano in acqua. Un grosso tonfo annunciò loro che anche quella cosa ormai era molto vicina a raggiungerli. Ander si gettò di peso sull’ultima porta, ma nemmeno quella si aprì. “Sbrigati!” lo incitò Marianna. Percorsero l’ultimo tratto che li divideva dalla fine del passaggio quasi correndo, e quando raggiunsero le scale, ansimanti, si voltarono verso il corridoio allagato. Potevano sentire chiaramente il rumore di qualcosa di grosso che si muoveva nell’acqua bassa.
Salirono i pochi gradini davanti a loro in un attimo, e una volta giunti in cima alla scala Marianna si lasciò sfuggire un gemito: il basso arco di pietra che conduceva all’uscita era sbarrato da un’enorme grata di ferro. Ander ci si aggrappò e la scosse con violenza, ma non ottenne nessun risultato. “Siamo fottuti” mormorò a bassa voce “Guarda sui muri, ci dev’essere una leva…” le disse gettandosi carponi ad ispezionare i mattoni della parete. Marianna lo guardò per un istante ansimando, poi disse “Vieni, presto, mi serve la torcia”. Scese di nuovo le scale da cui erano saliti, tirando fuori dalle vesti un’ampolla di liquido scuro. Giunta sul bordo dell’acqua si inginocchiò e aprì la boccetta.
Cos’è quello?” chiese Ander raggiungendola. Marianna fece cadere in acqua una singola goccia del liquido denso e scuro, che alla luce della torcia cambiò colore una moltitudine di volte. “Olio di salamandra” rispose, ed allungò le mani sopra la macchia oleosa che galleggiava di fronte a lei. Il rumore di qualcuno che correva nell’acqua si faceva sempre più vicino. Marianna sussurrò qualcosa e la macchia si dilatò a dismisura, ricoprendo l’acqua del corridoio come una pellicola multicolore.
Avvicina la torcia, e fai attenzione” ordinò al mezzo-nano. Ander scese l’ultimo gradino e abbassò la torcia. Subito l’olio prese fuoco, e le fiamme si propagarono sulla superficie dell’acqua come un'onda. Pochi istanti dopo urla lancinanti arrivarono dalla parte opposta del corridoio. “Brucerà per due giorni e due notti” disse Marianna con voce stanca “Ora non possiamo piu’ tornare indietro, ma almeno avremo un po’ di tempo per aprire quella grata… se è veramente possibile aprirla”.



Tornarono in cima alla scalinata con il cuore pesante, e ogni gradino sembrava più alto del precedente. Quando furono in cima Ander le fece cenno di stare zitta. Il mezzo-nano tese l’orecchio e rimase in silenzio per alcuni istanti “Sta arrivando qualcuno anche da questa parte” disse con voce grave “sono tanti e armati, credo. Siamo proprio fottuti”. Marianna sospiro’ e si guardo’ intorno con aria rassegnata “Possibile che non hai portato nemmeno un’arma? Una spada, un’ascia... sei un nano, maledizione!” sbotto’.
Ander si inginocchio’ e posò la grande tracolla a terra. “Primo, Rossa, non sono un nano. Attenta a quella bocca. Secondo, non sono cresciuto in una fottuta armeria di qualche fottuto nobile, ma in una locanda. Pensi che mio padre mi abbia insegnato a usare la spada?” Parlava senza alzare lo sguardo dalla tracolla, rovistando all'interno con le braccia sprofondate fino al gomito “In compenso ne so qualcosa di risse” concluse, tirando fuori dalla sacca quelli che sembravano dei grossi guanti d’arme. Erano di metallo scuro, molto piu’ grandi delle mani del mezzo-nano, ricoperti da disegni e strani simboli. Due grosse saette di metallo bianco scendevano dalle nocche fino agli avambracci. Ander li indossò velocemente e li fece cozzare l’uno contro l’altro, provocando scintille e un tenue odore di zolfo “Tirapugni Vorpalpiucinque Deldiodelfulmine” disse con il suo ghigno malvagio “Le Mani di Ragbi”.



La parete della cella esplose, e schegge di pietra volarono in ogni direzione. Il Falco si destò dal torpore in cui era sprofondato e tossendo per la polvere alzò lo sguardo in direzione della voragine che si era aperta nel muro alla sua sinistra. Un cono di luce penetrava dall’esterno, e nel polverone che lentamente si andava posando poté distinguere due sagome. Il Nano e la Serpe, pensò con sollievo in un primo momento, ma a una seconda occhiata si accorse che c’era qualcosa di diverso nelle due figure che avanzavano fra le macerie.



E fu cosi’ che Ander il Mezzonano incontrò il Falco, in una delle celle dimenticate dei sotterranei della Capitale. Secondo una versione della storia il locandiere capì subito chi era il prigioniero, e fece tutto il possibile per riportarlo al Nano, arrivando a pagare un duro prezzo per la sua decisione. Altri invece raccontano che fu solo per un caso fortuito che il mezzo-nano e la strega decisero di portare con loro il prigioniero, e l’abilita’ del Falco si rivelò decisiva nel momento del bisogno, anche se non sufficiente a garantire l’incolumita’ di tutti e tre. Infine esiste un racconto secondo il quale Marianna la Strega sfidò Malasorte in un duello di magia, così da permettere ai suoi compagni di fuggire.
Quale che sia la storia che desiderate ascoltare, tenete bene a mente che uscire dai domini sotterranei dei mendicanti non fu cosa semplice, e solo due dei tre fuggitivi tornarono a vedere la luce del sole quel giorno...




"Non tutti i topi sognano di diventare messaggeri..."


L'episodio precedente lo trovate QUI o nell'indice, come al solito!

3 commenti:

  1. Ci ho pensato a lungo e l'idea di dover sacrificare uno dei tre mi fa contorcere le budella! Ad ogni modo, visto che è necessario, opto per l'epico duello di magia tra Marianna e Malasorte! E poi il finale diceva solo che non sarebbe tornata a vedere la luce quel giorno, non che sarebbe morta! ^^

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  2. Difficile come al solito, eh? Dopo lunghe meditazioni, voto anche io per la terza opzione, nella speranza che non porti alla morte di Marianna. Però voglio il duello di magia, quindi correrò il rischio U_U

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  3. Narrativa coinvolgente e, come sempre, molto evocativa, bravo!
    Voto anche io la terza, poichè le streghe non muoiono, nemmeno nei roghi dell'inquisizione, ma si trasferiscono in altre dimensioni spazio/temporali:)
    H.G.

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Leali sudditi!
I commenti alla bacheca Reale sono assolutamente liberi, ma il Re ha ordinato espressamente che, qualora il o gli imbecilli di turno dovessero affiggere commenti inutili o lesivi dell'onore della corona, essi verranno immantinente rimossi insieme alla a testa del o degli autori, che in ogni caso non sentiranno molto la mancanza di un organo che non hanno mai utilizzato.

Con velenosa franchezza,

Archibald Lecter, segretario particolare del Re