lunedì 16 settembre 2013

Alla Fine della Pianura


Salute a tutti, sudditi di bassa lega, è Lecter che parla. Ancora una volta ho il piacere di NON sprecare l'inchiostro del mio calamaio per commentare le incommentabili "fatiche" letterarie di quel parassita scriteriato del Bardo. Oggi, per fortuna, torna a scrivere su questa bacheca l'ottimo PM, con le avventure di Von Braun e compagnia. 
Lui, la strega Marianna, e il giovane Sven, stanno seguendo Dana verso la Capitale, nel tentativo di riportare la misteriosa e letale creatura che hanno catturato all'Evocatore della Vita. 
Finalmente le porte delle Città si spalancano davanti a loro e ora tutto si fa più difficile. Soprattutto perché le streghe come Marianna qui da noi non sono ben viste, e notoriamente vengono utilizzate come carburante per allegri roghi che riscaldano i cuori dei nostri buoni cittadini il sabato sera. 
Cosa accadrà ai nostri eroi? E intanto cosa sta accadendo al Falco? Sullo sfondo di tutto questo la Capitale è in agitazione per la guerra contro i nani. E devo dire che neppure io mi sento troppo tranquillo.
Gustate dunque questa bella avventura, in cui PM introduce LA SCELTA MULTIPLA. A fine capitolo POTRETE SCEGLIERE TRA 3 DIFFERENTI PERCORSI. Scegliete con saggezza, o temo che qualcuno possa rimetterci la pelle. I voti nei commenti determineranno il seguito della storia, perciò VOTATE NUMEROSI!



di PM


Nel sogno è ancora libero. Corre sui tetti del Quartiere Vecchio, sul viso l'aria fresca della sera, sotto i piedi tegole vecchie e cedevoli. Lo scricchiolio delle assi di legno al suo passaggio, la puzza e i profumi che salgono dai vicoli sotto di lui, da quanto tempo non saliva lassù? Sa che è un sogno, perché il suo braccio sinistro è ancora normale, ma è felice, e corre sempre più forte, saltando da un tetto all'altro, scivolando sulle tegole, aggrappandosi ai cornicioni per non precipitare nel buio.
Improvvisamente il tetto finisce, non ci sono altre case davanti a lui, solo un piccolo giardino con un pergolato dall'aria malmessa. Non rallenta, arrivato sul bordo del tetto si lancia nel vuoto. Si allunga a mezz'aria, stende le braccia fino al limite e quando sta per toccare terra agguanta la prima trave del pergolato, che scricchiola pericolosamente. Volteggia intorno alla trave, la presa sicura non lo tradisce, piega le ginocchia e si prepara all'atterraggio. Il legno cede con uno schiocco, viene sbalzato in avanti. Ruota, atterra, con le gambe ammortizza la caduta, rotola e si rialza, continuando a correre lungo un colonnato antico.

Le colonne sono alberi, il bosco intorno a lui è freddo e buio. Le foglie si alzano al suo passaggio, ma qualcosa è sbagliato, sale un odore di putrefazione dal terreno. C'è qualcuno che lo segue, qualcuno di morto. Non si volta a guardare, socchiude gli occhi e corre fra gli alberi, schivando cespugli irti di spine e rami secchi che gli sbarrano la strada. Si guarda il braccio sinistro, che è già grigio e freddo. Quando rialza gli occhi esce dal vicolo e trova i soldati ad aspettarlo.
Sa di essere disarmato, ma non si preoccupa, è troppo veloce, non possono colpirlo. Senza smettere di correre guarda gli uomini in armatura, li studia uno a uno, sono tanti, troppi, e sorride. Gli vengono incontro, incoccano le frecce, ma sa già dove colpiranno, può leggere le loro intenzioni nei movimenti del corpo. Due frecce si avvicinano, scarta a destra, schiva il primo fendente orizzontale, afferra il braccio della spada e lo torce, mettendo l’uomo fra lui e i dardi. Sente il rumore sordo delle due aste che si conficcano nella schiena del soldato, con la destra gli sfila due pugnali dal fianco, mentre con la sinistra lo tiene ancora per il polso. Si abbassa, ruota, scaglia i due coltelli mentre l’uomo crolla al suo fianco. Sente un brivido al braccio sinistro. Altri due soldati cadono a terra tenendosi la gola, il sangue inonda il terreno. Ce ne sono ancora troppi, vede altre frecce che si preparano a colpirlo. Il brivido al braccio è diventato ghiaccio, che si allunga verso il petto. Schiva un altro fendente, agguanta con la sinistra l’elmo dell’uomo, e comincia a stringere. Il soldato non urla, ma si sente il rumore delle ossa che si frantumano. Il braccio freme di gioia. Il gelo aumenta. La vista si annebbia e il sogno si fa buio.

C’era voluta una settimana, ma alla fine avevano superato la Piana Lunga. La sera del settimo giorno avevano raggiunto il crinale che segnava l’inizio della valle della Capitale, giusto in tempo per vedere il sole immergersi in mare. In quel punto la prateria si interrompeva bruscamente, e il terreno scendeva quasi a picco fino al livello del mare. Un sentiero stretto e tortuoso si aggrappava al crinale, permettendo ai viaggiatori provenienti da quel lato della valle di giungere fino alla piana sottostante. La Capitale era alla loro destra, una macchia scura che partendo dalla riva si allargava sulla collina da cui dominava il paesaggio. Un reticolo di strade e campi coltivati circondava le basse mura di cinta, e fra le ombre della sera si potevano distinguere le prime luci delle fattorie. C'erano pochissimi alberi in quella valle, pensò Marianna. "Quello è il Paludonso" disse Leom al suo fianco, indicando il grande fiume che sfociava in mare nei pressi della Capitale "mentre quello laggiù" continuò con un sorriso compiaciuto "è il Bosco Sacro. Sono sicuro che vi piacerà". Marianna aguzzò la vista nella direzione indicata dal soldato. Dove il fiume formava un'ansa e girava intorno alle mura della città c'era una macchia più scura, che forse poteva essere uno sparuto gruppo d'alberi "Sì, sono sicura anch'io..." rispose con poca convinzione. Cominciava a sentire la mancanza della sua, di foresta. Certo, anche qui la mano della Grande Madre aveva operato con magnificenza, il panorama che le si presentava di fronte era meraviglioso, ma non poteva fare a meno di notare come il lavoro dell'uomo avesse rovinato quella perfezione. "Che cosa vi preoccupa? " chiese Leom. Marianna si accorse di avere il viso corrucciato. Inspirò e si voltò verso l'uomo esibendo un ampio sorriso "Nulla, Leom, grazie" rispose a voce bassa "quanto ci vorrà per arrivare in città?" chiese. "Di solito non impieghiamo più di un'ora per scendere a valle. Bisogna condurre i cavalli a mano per il sentiero, ma la discesa è meno lunga di quanto sembri da quassù" rispose il soldato "Oggi però saremo fortunati se riusciremo a tornare a casa prima di notte fonda. Temo che portare a valle il nostro bagaglio sarà un lavoraccio" concluse con un'occhiata alle loro spalle, dove la coda della carovana si avvicinava al limite della pianura. Marianna preferì non voltarsi a guardare il sarcofago. Con un leggero colpo di redini indirizzo il cavallo verso l'inizio della discesa "Sarà meglio cominciare a scendere subito, allora" disse superando Leom. Arrivata sul ciglio del crinale, si fermò un momento ad ammirare quel panorama per un'ultima volta. La valle si estendeva davanti a lei quasi perfettamente in piano, digradando dolcemente dalla base del crinale fino al mare. Alla sua sinistra il costone continuava fino all'orizzonte, trasformandosi infine in un'alta scogliera a picco sulle onde, mentre a destra il grande fiume scorreva lento, curvando mollemente intorno alla collina della capitale. In quel momento i raggi del sole, ormai quasi completamente scomparso oltre l'orizzonte, illuminarono le torri bianche del palazzo reale, tingendo il marmo di un rosso delicato. Con un sospiro si preparò alla discesa.

Anche quella sera la Locanda di Ander era traboccante di clienti. In realtà, il vero nome del locale era "Il Primo Ritrovo Accogliente" (era stata la madre di Ander a sceglierlo, una missionaria arrivata da oltre il mare) ma nessuno lo usava da anni, e ancor meno persone si preoccupavano di leggere l'insegna scolorita sopra l'ingresso. A dirla tutta, non era più nemmeno propriamente una locanda, dato che il secondo piano dell'edificio, quello con le stanze per gli ospiti nel disegno originale di suo padre, era stato trasformato in un magazzino da Ander ormai molti anni prima. A che cosa servisse quel magazzino era un gran mistero (giravano molte voci a riguardo, gran parte delle quali vere). Ciononostante, la gente continuava a chiamare il suo locale "Locanda di Ander", e a riempirlo ogni sera.
Non che fosse difficile trovare quel tipo di clientela, giù al Quartiere Vecchio. La maggior parte degli avventori erano malviventi di bassa lega o manovali che salivano dal vicino Quartiere del Porto a cercare un posto dove ubriacarsi fra un turno e l'altro. La sala era abbastanza grande per contenere anche i soliti contrabbandieri, il gruppo di prostitute di Madam Shnay, qualche viaggiatore talmente squattrinato o stupido da scegliere la Locanda per passare la notte, e infine gli immancabili cacciatori di emozioni dei quartieri alti, che sceglievano di dare ad Ander le proprie monete in cambio di una serata nei bassifondi. La Locanda si trovava nella parte bassa del Quartiere Vecchio, un luogo abbastanza malfamato da essere evitato dai ricchi abitanti di Porta Dorata, ma non troppo sporco o pericoloso per quelli del Porto o di Triassico. Nonostante questo, spesso qualche gruppo di giovani con le tasche piene di denaro e voglia di emozioni, o di nobili in cerca di esotismo, si presentavano alla porta della Locanda, e Ander non mancava mai di liberagli un tavolo. E non succedeva mai che questi clienti speciali venissero importunati da qualche malintenzionato, perchè tutti gli avventori sapevano quanto Ander ci tenesse alle monete d’oro che lasciavano quei ricconi, e a nessuno passava nemmeno lontanamente in testa di inimicarsi un mezzo-nano protetto dalla mafia.
In piedi dietro al bancone consunto Ander osservava la sala, scambiando qualche parola con i clienti abituali, urlando improperi alla cucina, e occasionalmente versando da bere a chi lo chiedeva. Stava lucidando sovrappensiero un boccale di legno con il bordo della manica quando la porta della Locanda si aprì lentamente e subito si richiuse, senza che nessuno uscisse o entrasse. Gli avventori sembrarono non farci caso, ma, come era noto, nulla poteva uscire dal locale senza che l’oste se ne accorgesse, fosse stato anche solo del fumo del suo camino. Ander corrugò le sopracciglia cispose e guardò meglio fra la folla accalcata intorno all’ingresso, e si accorse che, in effetti, qualcuno era entrato. Era il vecchio Jorn, che si faceva largo fra tipacci alti almeno un braccio più di lui come un cinghiale si fa largo fra i cespugli. Il nano tirò dritto fino al bancone, scelse un posto di fronte ad Ander e si arrampicò sulla botte che fungeva da sedia.
“Bentornato” lo salutò Ander senza sorridere “questa volta ne è passato di tempo”. Jorn si tolse la mantella bagnata di umidità e ricambiò il saluto con un cenno del capo “Per nostra fortuna ne abbiamo molto, di tempo” rispose. Ander conosceva quel nano da quando era giovane, era stato un amico di suo padre, e in tutti quegli anni Jorn sembrava non essere cambiato. Più che invecchiare si stava levigando, sosteneva l’oste. “Bevi qualcosa?” chiese, armeggiando sotto il bancone in cerca di un boccale non troppo incrostato. “Dammi la solita birra, lo sai che è l’unica cosa che non mi da i crampi allo stomaco, qui dentro” rispose Jorn guardandosi oltre le spalle. Ander urlò qualcosa a una delle ragazze e riprese a bassa voce “Non hai scelto un buon momento per farti vedere in giro, vecchio”, gli disse tirando sul bancone una ciotola sbeccata con quelle che sembravano noci all’interno. Qualcosa uscì di corsa dalla ciotola e il mezzo-nano si affrettò a schiacciarlo con aria noncurante“ Con la guerra ormai alle porte, ci sono persone che non vedono di buon occhio chiunque non arrivi a tre braccia di altezza” continuò indicando con un cenno un gruppo di uomini che parlava in un angolo, lanciando occhiate nella loro direzione “Non mi fermo molto” disse il Nano infilandosi in bocca una noce “sto cercando un amico, e ho bisogno del tuo aiuto”.

Ormai era quasi completamente buio, e procedevano in direzione della Capitale illuminando la via con le torce. La discesa fino alla valle era stata più breve del previsto, e una volta arrivati sulla grande strada che tagliava i campi fino alle porte della città avevano preso un'andatura abbastanza spedita. Marianna cavalcava al centro della fila, affiancata come sempre da Sven, che però non parlava da ore. Il mare, da qualche parte alla loro sinistra, era scomparso oltre la linea dell'orizzonte quando avevano raggiunto il fondo della valle, che si era rivelata molto più ampia di quanto le fosse sembrato dalla cima del crinale. Ciononostante era sicura di sentire nell'aria l'odore del sale, e quando il vento girava nella direzione giusta, anche l'eco delle onde.
Avevano già superato un paio di locande lungo la strada, ma non si erano fermati se non per far bere i cavalli, nella speranza di arrivare in città prima di notte. Ormai non mancava molto, e Marianna poteva vedere le luci della capitale riflettersi nel fiume Paludonso davanti a loro. C'era un ponte da attraversare, le aveva spiegato Leom, prima di arrivare alle porte della città, e le luci davanti a loro dovevano essere proprio il posto di guardia. Guardando meglio si accorse che le luci si muovevano. Vide Leom cavalcare in fretta in quella direzione e, quando dopo alcuni minuti tornò indietro a parlare con la ragazza bionda, i soldati si fermarono. Erano ormai in vista del guado sul fiume, dove una piccola costruzione in pietra illuminata da un paio di torce ospitava le guardie del ponte. Davanti alla guardiola non meno di venti persone a cavallo, tutte con in mano una torcia e vestite con lunghe tuniche tosse, sembravano in attesa di qualcosa. Marianna intuì che stavano aspettando proprio loro. Lentamente, fece avvicinare il cavallo alla testa della carovana.
La ragazza bionda stava parlando con uno degli uomini in rosso. Questo indossava sopra la tunica una casacca leggera, con la destra reggeva una torcia e al fianco portava una lunga spada. Ma era il capo dell'uomo ad attirare lo sguardo di Marianna, calvo, di una bellezza statuaria, e completamente ricoperto di strani segni che nella luce tremula della torcia sembravano muoversi, dando all'uomo un aspetto bello e inquietante.
"Mi spiace che siate venuto fino al guado per nulla, Maestro" stava dicendo la ragazza bionda "ma purtroppo non posso soddisfare le vostre richieste". L'uomo rispose con voce bassa e decisa "Dana, la mia non è una richiesta" esordì estraendo dalla tunica un medaglione e mostrandolo ai presenti "E' un ordine dell'Evocatore del Fuoco" La ragazza con calma prese a sua volta due medaglioni dalla bisaccia, e li tese in direzione dell'uomo "Come potete vedere, anche i miei ordini provengono dall'alto" Un leggero sorriso increspò il volto dell'uomo "Sono certo che i vostri ordini non menzionino il prendere prigionieri" disse passando lo sguardo prima su Von Braun, a cavallo al fianco della ragazza, e poi soffermandosi su Marianna "e dei prigionieri molto particolari, a quanto vedo" aggiunse. La ragazza bionda si voltò un attimo verso Marianna, e riprese "Non sono miei prigionieri, Maestro, l'Inquisitore e i suoi compagni hanno accettato di accompagnarci fino al Grande Tempio per assisterci in caso di bisogno" Von Braun rimase in silenzio, lo sguardo duro puntato sull'uomo in rosso. "Davvero un gesto nobile, degno di un Inquisitore di Thorm. Mi chiedo solo che cosa diranno al tempio quando cercherete di fare entrare una strega.." Marianna ebbe un tuffo al cuore, ma la ragazza continuò a parlare senza scomporsi "Comprendo la vostra curiosità, ma temo che siano questioni che non vi riguardino direttamente. Questo compito mi è stato assegnato dal Gran Sacerdote, ed intendo rispondere delle mie scelte soltanto a lui. Non vedo perché la Torre debba preoccuparsene" L'uomo in rosso fece avanzare lentamente il cavallo in direzione della ragazza e di Von Braun "Sai bene a che cosa è interessata la Torre, Dana" sibilò, lanciando un'occhiata al fondo della carovana "e se non basta l'ordine diretto dell'Arcimago a farti collaborare, posso provare io con il fuoco"


Esistono a questo punto tre versioni della storia. In una di queste è l'intervento di Von Braun a risolvere la disputa, ma ad un certo prezzo. In un'altra versione Marianna decide di cogliere l'occasione e fuggire, creando non poco scompiglio. Nella terza versione invece lo scontro non può essere evitato, così come le dure conseguenze. Solo in una di queste versioni tutti i personaggi sopravvivono, per cui scegliete con giudizio quale ascoltare.



Maestro Kass Firestorm, burning things down since 78 N.E.


Se volete leggere la parte precedente la trovate QUI

3 commenti:

  1. Allora, normalmente avrei votato 3, perché le persone spocchiose e fanatiche mi stanno sulle balle, ma visto che hai parlato di "dure conseguenze", direi che voterò per la rocambolesca fuga della bella Marianna attraverso le vie di una città che non conosce. In bocca al lupo! ^^

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  2. mmmmmmm bel dilemma a questo punto ^_^
    Voto per la fuga di Marianna, quindi 2! ;)

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  3. Voto anche io per la fuga di Marianna, e non vedo l'ora di sapere cosa succederà! ^_^

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Con velenosa franchezza,

Archibald Lecter, segretario particolare del Re