Buonasera, cari sudditi. Rimango ogni volta avvilito nel constatare il misero fallimento della selezione naturale nel miglioramento della specie. Ma ahimé, voi siete qui e ci sono anch'io, perciò bando alle ciance. Avevate scelto di seguire il destino di Marianna nella sua rocambolesca fuga dai Piromanti del Regno. Ce l'avrà fatta o sarà morta nel tentativo? Se plebaglia come voi è ancora viva nonostante tutto, nutro buone speranze che anche lei sia sopravvissuta.
In questo nuovo capitolo nell'elaborata saga dell'ottimo PM conoscerete zone della nostra amata città di cui persino io ignoravo l'esistenza. Principalmente perché trattasi di zone così pulciose da non permanere nel mio cervello per più di quindici secondi consecutivi. Le persone che contano, in fondo, vivono altrove.
Leggete questo nuovo pezzo e lasciateci i vostri inutili, sebbene necessari commenti, nonché il vostro voto per la prosecuzione della storia.
E ora vi abbandono per perseguire più nobili attività, come ad esempio creare piccoli soldatini di neve sul davanzale della mia camera da letto.
Vostro fanciullesco,
Archibald Lecter, Segretario Particolare del Re.
di PM
Un
boato sordo e lontano lo fece sussultare. Alzò stancamente la testa,
aprì gli occhi gonfi e arrossati e li girò intorno, come alla
ricerca di qualcosa. Era in una stanza bassa e buia. Ancora. Una
sottile lama di luce scendeva dall'alto, tagliando in due il
pavimento di pietra umida e rivelando agli occhi mucchi di stracci
luridi. L'odore nauseabondo che gli aveva mozzato il respiro
all'inizio oramai aveva permeato anche lui, e anche se respirava a
fatica non era più per colpa dell'aria malsana. Provò debolmente
a muoversi, e il rumore di ferraglia che riempì la stanza fu
sufficiente a farlo desistere immediatamente. Riabbassò la testa sul
petto nudo, dove le ferite delle frecce erano state tamponate con
degli stracci sporchi, e guardò quasi con distacco le gambe,
bloccate da un groviglio di catene arrugginite e lacci di cuoio. Il
peso del metallo gli faceva dolere le spalle. Girò lentamente la
testa verso il braccio destro, e con lo sguardo seguì le catene
che dalla spalla arrivavano fino alla mano. Provò a muovere le dita,
così lontane da lui da sembrargli di qualcun altro, e strinse il
pugno con rabbia intorno all'anello di metallo che lo teneva
prigioniero. Una fitta di dolore gli attraversò la spalla destra, e
lasciò immediatamente la presa con un gemito. Tutto quello che
desiderava in quel momento era una delle sue fialette. Chiuse gli
occhi, inspirando. In lontananza ancora eco di esplosioni. Quando li
riaprì per guardare il braccio sinistro il cuore gli batteva
all'impazzata. Il braccio, il suo braccio, era inchiodato al muro da
tre spuntoni di metallo. C'erano dei pezzi di carta, forse pergamene,
che pendevano dai chiodi che gli attraversavano le carni, altri
ancora erano attaccati in qualche modo alla pelle grigia. Non c'era
sangue, e non sentiva dolore. Provò a muovere le dita, ma non
ottenne alcun risultato. Strinse gli occhi più forte che poté,
come a voler cancellare quell'immagine, e abbassò di nuovo il
capo, chiedendosi se avrebbe potuto usare ancora l'arco.
L'ormai
familiare rumore di cardini arrugginiti gli annunciò l'arrivo della
sua carceriera. La piccola porta di legno alla sua destra si apri
cigolando, lasciando entrare la luce tremolante di una torcia che
illuminò le pareti coperte di muschi marcescenti. Guardò con gli
occhi socchiusi quell'ammasso di cenci entrare con andatura incerta
nella stanza, trascinare l'unico sgabello dalla parete opposta fino
ai suoi piedi e arrampicarsi sopra con difficoltà.
Da sotto gli
stracci emerse un braccio candido, che reggeva un grezzo cucchiaio di
legno. La mano era piccola, la pelle liscia e bianca. Non l'aveva mai
vista in volto, ma immaginava che sotto quell'ammasso di vestiti
malridotti dovesse esserci una ragazzina. Lei senza dire una parola
cominciò ad imboccarlo: dopo ogni boccone infilava il cucchiaio
vuoto in mezzo agli stracci e lo ritirava fuori gocciolante di un
pappone tiepido. I primi giorni si era rifiutato di mangiare, troppo
diffidente o anche solo troppo disgustato da quel miscuglio
rivoltante, ma ormai la fame aveva vinto sulla ragione.
Dopo un paio
di minuti il cucchiaio scomparve per l'ultima volta e la figura scese
con cautela fino a terra. La seguì con gli occhi mentre trascinava
lentamente lo sgabello al suo posto e si avviava col suo passo
strascicato verso la porta.
"Grazie" sussurrò con voce
incerta il Falco. La figura rimase un lungo attimo con la mano
sull'anello di ferro della porta, poi uscì e la stanza tornò nel
buio.
La
notte al quartiere del Porto era umida e maleodorante. Una nebbia
bassa e densa saliva dal fiume Paludonso e strisciava per i vicoli
lambendo le caviglie dei pochi sconsiderati che a notte fonda ancora
si avventuravano in quella parte della Capitale. La quiete ovattata
era disturbata solo dall'eco dei festeggiamenti che andavano avanti
ormai da tre giorni nella parte alta della città. Ander della
locanda, il Mezzonano, camminava rasente i muri degli stretti vicoli
che portavano alle banchine del porto, avvolto in un pesante mantello
di lana che lo riparava sia dall'umidità notturna, sia dagli
sguardi degli estranei. Con il cappuccio tirato fin sul naso l’unica
cosa che spuntava erano gli stivali di cuoio malandati, zuppi per la
spessa nebbia, tanto che a un primo sguardo lo si sarebbe potuto
scambiare per un adolescente molto robusto, se non ci fossero state
la lunga barba brizzolata e le mani grandi e callose a rivelarne la
vera età.
Procedeva con passo sicuro muovendosi fra le zone meno
illuminate della strada, diretto alla sede del Consorzio dei
barcaioli, in cerca di informazioni. Gli era stato chiesto di trovare
qualcuno e il primo passo era scoprire se quel qualcuno fosse ancora
in città oppure no. Chiunque avesse dovuto lasciare la Capitale di
nascosto, secondo o contro la propria volontà, non lo avrebbe
fatto di certo passando per le porte principali, ma più probabilmente per il fiume, magari cercando un passaggio su una delle
tante barche che ogni giorno lasciavano i moli del Quartiere del
Porto per scendere fino al mare.
Andare al Consorzio era una
scommessa, ma Ander non aveva nulla da perdere, se non una nottata di
piedi doloranti e ossa umide, che era comunque preferibile all'andare
a cercare informazioni nei dintorni delle porte della città. Qui
al Porto, almeno, non rischiava di essere arrestato.
Uscì dal vicolo girando intorno a un paio di grosse casse che puzzavano di
marcio, e si trovo’ sulla lunga banchina che portava fino alla sede
del Consorzio. Il fiume Paludonso scorreva davanti a lui, lento e
scuro nella notte. Comincio’ a dirigersi verso il Consorzio,
facendo attenzione a non scivolare sulle tavole di legno umide. Il
rumore delle barche che urtavano le une contro le altre, quello delle
cime d’ormeggio, che ritmicamente si tendevano uscendo dall'acqua,
accompagnava lo scricchiolio del molo ad ogni suo passo. Rotoli di
corde, casse di legno, reti da pesca ammucchiate alla bell'e meglio
si confondevano nel buio della notte.
Un
grosso ratto attraversò la banchina correndo, scomparendo poco
più in là in un mucchio di stracci. Ander seguì con lo
sguardo il percorso della bestia, e si accorse che c’era qualcuno
sul bordo dell’acqua, chino e con le spalle rivolte verso di lui.
Il primo istinto fu quello di ignorare la figura e continuare per la
propria strada, come avrebbe fatto chiunque fosse voluto rimanere
vivo in quella parte della città, ma con la coda dell’occhio
vide che l’uomo stava tirando fuori qualcosa dalle acque del fiume.
O meglio, qualcuno. Si fermò, incuriosito. Subito la figura
rannicchiata si girò verso di lui, e lo squadrò con aria torva.
Ander lo riconobbe subito, era il Guercio, uno dei mendicati di
Malasorte.
“Che hai da guardare?” chiese l’uomo tirandosi in
piedi. Era piu’ alto di lui di almeno due spanne, anche se non era
molto grosso. Dietro di lui, sull'orlo della banchina, Ander poteva
intravedere un cespuglio di capelli rossi. Abbassò il cappuccio ma
non si mosse di un passo.
“Hei, ma tu sei il nano della locanda,
quello del Quartiere Vecchio” esclamò il mendicante con un certo
fastidio “Che
ci fai qui?”
Ander non rispose e si limitò a fissare l’uomo
nell'unico occhio buono che gli rimaneva.
“Che non parli?” lo
apostrofò ancora il Guercio con la sua voce sgraziata, facendo un
passo in avanti “Vedi di muoverti e sparire velocemente, questa
roba è mia” disse accennando alla figura alle sue spalle.
Ander
continuò a rimanere immobile al centro della banchina, senza
abbassare lo sguardo.
“Forse non hai capito” ringhiò allora il
mendicante estraendo un coltellaccio dalle vesti “Se non ti levi
subito di torno ti butto ai pesci” e fece un altro passo in avanti
sventolando minacciosamente l’arma. Ander lo squadrò per un
momento, tirò su col naso e sputò. Uno sputo silenzioso, dritto
e denso, proprio nell'occhio buono del mendicante. Il Guercio
imprecò una volta e si coprì la faccia d’istinto, quindi
Ander fece un passo in avanti e con uno scatto piazzò la destra
fra le gambe divaricate del mendicante, che si piegò in due con un
gemito soffocato. Poi lo afferrò per i capelli e gli assestò una testa sul naso, così forte che la vista gli si annebbiò per
un attimo, mentre il Guercio crollava a terra con la faccia coperta
di sangue. Ander gli si avvicinò e tirandolo su da terra per il
bavero gli sussurrò all'orecchio “Non sono un nano”.
Marianna
si svegliò in un letto caldo e morbido. Era notte e la stanza in
cui si trovava era buia, anche se da una piccola finestra alla sua
sinistra entrava abbastanza luce da riuscire a distinguere le poche
cose intorno a lei. Un semplice armadio e una specie di cassapanca
vicino al letto erano l’unico arredamento della stanza altrimenti
spoglia. L’aria sapeva di muffa e tabacco.
Provò a tirarsi su a
sedere, ma non ci riuscì: si sentiva sfinita e si abbandonò subito nel letto, cercando di ricordare come fosse finita li.
Ricordava il viaggio con Von Braun e i soldati fino alla Capitale, o
quasi, e ricordava il mago scarlatto che minacciava la ragazza
bionda. Ricordava di aver invocato il fulmine con l’aiuto del suo
bastone e subito dopo di essere volata via lungo il fiume. Il suo
bastone. Mosse istintivamente le mani sotto le coperte come
aspettandosi di trovarlo lì, al suo fianco, e invece sentì qualcosa intorno ai polsi.
Un improvviso lampo di luce seguito da un
boato lontano illuminò la stanza, e si accorse di non essere
sola.
“Non
preoccuparti, l’ho preso io quello” disse la figura che fino a
quel momento era rimasta in silenzio nell'angolo più buio della
stanza. Marianna si girò nel letto per guardare meglio il suo
interlocutore. “E’ solo che quando ti ho trovata nel fiume eri
attaccata così forte a quel bastone che ho pensato che era meglio
togliertelo” spiegò la figura “Se e’ quello che
penso, e se tu sei quella che penso, è meglio tenervi lontani”
continuò con una risata bassa.
Un altro lampo illumino’ la
stanza, e Marianna ebbe per un attimo l’immagine chiara dell’uomo.
Era piuttosto basso e tozzo, con una barba ispida che ne copriva gran
parte del volto. Stava seduto con la schiena appoggiata al muro, con
in mano una pipa spenta. Un altro boato in lontananza. “Spero che
la finiscano presto con i fuochi d’artificio” riprese l’uomo
“sono tre notti che non si riesce a chiudere occhio”.
Marianna
era in preda a emozioni contrastanti. Si era appena risvegliata in un
letto sconosciuto, ed aveva i polsi legati, e le avevano tolto il suo
bastone. Sarebbe dovuta essere allarmata, spaventata, ma non riusciva
a provare timore per quell'ometto che le parlava in un modo cosi’
gentile.
“Cosa sono i fuochi d’artificio?” si ritrovo’ a
chiedere.
“Oh, giusto, deve essere la prima volta che vieni da
queste parti… I fuochi sono una trovata degli alchimisti per
divertire i nobili dei quartieri alti. Fanno molto rumore e qualche
luce colorata, li lanciano durante le feste… Sono tre giorni che il
Re ha deciso di fare festa, da quando è tornato da un qualche
viaggio si dice... non si capisce festa da cosa, comunque, visto che
non è che di solito si ammazzino di lavoro…”. Un’altra
fiammata nel cielo notturno illuminò il volto dell’uomo.
Marianna poté distinguere le rughe che ne incorniciavano gli
occhi, e capì che era molto più vecchio di quanto avesse
pensato all'inizio.
“Non sono magici, sai” continuò lui, con
voce più bassa “E’ una qualche diavoleria alchemica... ma sono
sicuro che tu te ne capisci più di me”.
Marianna
socchiuse gli occhi e lo scrutò nella penombra della stanza
“Chi
sei tu?” chiese infine.
L’uomo scoppiò a ridere “Allora e’
veramente la prima volta che vieni al Quartiere Vecchio” disse, divertito. “Sono Ander il Mezzonano, e questa è la mia locanda.
Non ne troverai una migliore in tutta la Valle” recitò. “Ma il
vero mistero, qui, è chi sei tu, donna dai capelli rossi”
continuò incrociando le mani sul petto. Marianna ripensò all'incontro con il mago scarlatto, alla sensazione che aveva
provato alla vista di quell'individuo e alle minacce che aveva
sentito, e decise fermamente di tenere per sé la verità. Ma
quest’uomo, anzi, questo mezzo-nano, sembrava conoscere già molte cose di lei, a partire dal suo bastone... A quel pensiero
inconsciamente si guardò intorno, nella speranza di scorgerlo, ed infine lo vide, appoggiato in un angolo buio vicino alla
porta. Si accorse che Ander la stava fissando, divertito.
“Ti
dirò una cosa, donna misteriosa. Di solito non ripesco donzelle
dal fiume per riportarle a casa e offrire loro un letto, a meno che
non ne valga la pena; ma ho sentito molte voci in questi giorni, voci
molto interessanti. Per esempio che qualche notte fa i piromanti sono
usciti tutti insieme dalle porte principali con in testa quel folle
del loro capo, e poco dopo metà della riva orientale del Paludonso è andata in fiamme; e io ho come la sensazione che tu ne sai
qualcosa. Si dice anche che gli inquisitori stanno cercando una
strega che è entrata in città in qualche modo... e da ieri,
beh, anche i mendicanti di Malasorte ti staranno cercando. Per cui
capisci che per me tu vali un bel po’... ma vorrei capire
esattamente quanto. Quindi ho deciso che te ne starai qui a letto
finché non ti deciderai a raccontarmi per bene chi sei e che ci
fai qui in città” spiegò il mezzo-nano. “Oppure finché le
offerte per averti non saranno diventate così alte che la tua
storia non mi importerà più nulla” concluse con un sorriso,
come se stesse dicendo la cosa più naturale del mondo. Dopodiché si alzò, si diresse verso la porta, raccolse il bastone e uscì,
lasciandola sola con l’eco lontana della festa.
Questa è solo una delle molte storie che si raccontano su come la strega
Marianna abbia incontrato il Mezzonano, e ancor di più ancora sono
i racconti di quello che avvenne dopo quella notte. Secondo alcuni
furono i mendicanti i primi a presentarsi alla Locanda, armati non
solo di intenzioni bellicose, costringendo il locandiere a ricorrere
a una soluzione inattesa per salvare la sua proprietà. Secondo
altri fu Ander a decidere del destino della strega, mettendo in moto
una catena di eventi che terminò con qualcosa di molto più grande di lui. C’è infine chi racconta di come Marianna riuscì a convincere il Mezzonano a desistere dai suoi intenti, e i due
finirono per trovarsi insieme in un’avventura inaspettata. Qual è dunque la storia che volete sentire?
Antica ricetta per cucinare debitamente i ricci di mare
Se volete leggere l'episodio precedente andate all'indice oppure cliccate QUI
Io voto 3, voglio la combo mezzonano - strega! Inoltre un plauso speciale per aver citato tra le righe il viaggio del Re a Mortara e i relativi 3 giorni di festeggiamenti! ^^
RispondiEliminaAnche io voto la 3 e spero che Marianna ritrovi la sua libertà, non deve essere prigioniera di nessuno.
RispondiEliminaComplimenti per lo stile evocativo, e per il consueto stacco tra l'introduzione e la storia, molto elegante:)
H.G.
Voto la 2, potere ai mentecatti!
RispondiElimina