venerdì 10 gennaio 2014

L'arrivo al Quartiere Vecchio



Buonasera, cari sudditi. Rimango ogni volta avvilito nel constatare il misero fallimento della selezione naturale nel miglioramento della specie. Ma ahimé, voi siete qui e ci sono anch'io, perciò bando alle ciance. Avevate scelto di seguire il destino di Marianna nella sua rocambolesca fuga dai Piromanti del Regno. Ce l'avrà fatta o sarà morta nel tentativo? Se plebaglia come voi è ancora viva nonostante tutto, nutro buone speranze che anche lei sia sopravvissuta.
In questo nuovo capitolo nell'elaborata saga dell'ottimo PM conoscerete zone della nostra amata città di cui persino io ignoravo l'esistenza. Principalmente perché trattasi di zone così pulciose da non permanere nel mio cervello per più di quindici secondi consecutivi. Le persone che contano, in fondo, vivono altrove.
Leggete questo nuovo pezzo e lasciateci i vostri inutili, sebbene necessari commenti, nonché il vostro voto per la prosecuzione della storia.

E ora vi abbandono per perseguire più nobili attività, come ad esempio creare piccoli soldatini di neve sul davanzale della mia camera da letto.

Vostro fanciullesco,

Archibald Lecter, Segretario Particolare del Re.



di PM

Un boato sordo e lontano lo fece sussultare. Alzò stancamente la testa, aprì gli occhi gonfi e arrossati e li girò intorno, come alla ricerca di qualcosa. Era in una stanza bassa e buia. Ancora. Una sottile lama di luce scendeva dall'alto, tagliando in due il pavimento di pietra umida e rivelando agli occhi mucchi di stracci luridi. L'odore nauseabondo che gli aveva mozzato il respiro all'inizio oramai aveva permeato anche lui, e anche se respirava a fatica non era più per colpa dell'aria malsana. Provò debolmente a muoversi, e il rumore di ferraglia che riempì la stanza fu sufficiente a farlo desistere immediatamente. Riabbassò la testa sul petto nudo, dove le ferite delle frecce erano state tamponate con degli stracci sporchi, e guardò quasi con distacco le gambe, bloccate da un groviglio di catene arrugginite e lacci di cuoio. Il peso del metallo gli faceva dolere le spalle. Girò lentamente la testa verso il braccio destro, e con lo sguardo seguì le catene che dalla spalla arrivavano fino alla mano. Provò a muovere le dita, così lontane da lui da sembrargli di qualcun altro, e strinse il pugno con rabbia intorno all'anello di metallo che lo teneva prigioniero. Una fitta di dolore gli attraversò la spalla destra, e lasciò immediatamente la presa con un gemito. Tutto quello che desiderava in quel momento era una delle sue fialette. Chiuse gli occhi, inspirando. In lontananza ancora eco di esplosioni. Quando li riaprì per guardare il braccio sinistro il cuore gli batteva all'impazzata. Il braccio, il suo braccio, era inchiodato al muro da tre spuntoni di metallo. C'erano dei pezzi di carta, forse pergamene, che pendevano dai chiodi che gli attraversavano le carni, altri ancora erano attaccati in qualche modo alla pelle grigia. Non c'era sangue, e non sentiva dolore. Provò a muovere le dita, ma non ottenne alcun risultato. Strinse gli occhi più forte che poté, come a voler cancellare quell'immagine, e abbassò di nuovo il capo, chiedendosi se avrebbe potuto usare ancora l'arco.


L'ormai familiare rumore di cardini arrugginiti gli annunciò l'arrivo della sua carceriera. La piccola porta di legno alla sua destra si apri cigolando, lasciando entrare la luce tremolante di una torcia che illuminò le pareti coperte di muschi marcescenti. Guardò con gli occhi socchiusi quell'ammasso di cenci entrare con andatura incerta nella stanza, trascinare l'unico sgabello dalla parete opposta fino ai suoi piedi e arrampicarsi sopra con difficoltà. 
Da sotto gli stracci emerse un braccio candido, che reggeva un grezzo cucchiaio di legno. La mano era piccola, la pelle liscia e bianca. Non l'aveva mai vista in volto, ma immaginava che sotto quell'ammasso di vestiti malridotti dovesse esserci una ragazzina. Lei senza dire una parola cominciò ad imboccarlo: dopo ogni boccone infilava il cucchiaio vuoto in mezzo agli stracci e lo ritirava fuori gocciolante di un pappone tiepido. I primi giorni si era rifiutato di mangiare, troppo diffidente o anche solo troppo disgustato da quel miscuglio rivoltante, ma ormai la fame aveva vinto sulla ragione. 
Dopo un paio di minuti il cucchiaio scomparve per l'ultima volta e la figura scese con cautela fino a terra. La seguì con gli occhi mentre trascinava lentamente lo sgabello al suo posto e si avviava col suo passo strascicato verso la porta. 
"Grazie" sussurrò con voce incerta il Falco. La figura rimase un lungo attimo con la mano sull'anello di ferro della porta, poi uscì e la stanza tornò nel buio.


La notte al quartiere del Porto era umida e maleodorante. Una nebbia bassa e densa saliva dal fiume Paludonso e strisciava per i vicoli lambendo le caviglie dei pochi sconsiderati che a notte fonda ancora si avventuravano in quella parte della Capitale. La quiete ovattata era disturbata solo dall'eco dei festeggiamenti che andavano avanti ormai da tre giorni nella parte alta della città. Ander della locanda, il Mezzonano, camminava rasente i muri degli stretti vicoli che portavano alle banchine del porto, avvolto in un pesante mantello di lana che lo riparava sia dall'umidità notturna, sia dagli sguardi degli estranei. Con il cappuccio tirato fin sul naso l’unica cosa che spuntava erano gli stivali di cuoio malandati, zuppi per la spessa nebbia, tanto che a un primo sguardo lo si sarebbe potuto scambiare per un adolescente molto robusto, se non ci fossero state la lunga barba brizzolata e le mani grandi e callose a rivelarne la vera età. 
Procedeva con passo sicuro muovendosi fra le zone meno illuminate della strada, diretto alla sede del Consorzio dei barcaioli, in cerca di informazioni. Gli era stato chiesto di trovare qualcuno e il primo passo era scoprire se quel qualcuno fosse ancora in città oppure no. Chiunque avesse dovuto lasciare la Capitale di nascosto, secondo o contro la propria volontà, non lo avrebbe fatto di certo passando per le porte principali, ma più probabilmente per il fiume, magari cercando un passaggio su una delle tante barche che ogni giorno lasciavano i moli del Quartiere del Porto per scendere fino al mare. 
Andare al Consorzio era una scommessa, ma Ander non aveva nulla da perdere, se non una nottata di piedi doloranti e ossa umide, che era comunque preferibile all'andare a cercare informazioni nei dintorni delle porte della città. Qui al Porto, almeno, non rischiava di essere arrestato.


Uscì dal vicolo girando intorno a un paio di grosse casse che puzzavano di marcio, e si trovo’ sulla lunga banchina che portava fino alla sede del Consorzio. Il fiume Paludonso scorreva davanti a lui, lento e scuro nella notte. Comincio’ a dirigersi verso il Consorzio, facendo attenzione a non scivolare sulle tavole di legno umide. Il rumore delle barche che urtavano le une contro le altre, quello delle cime d’ormeggio, che ritmicamente si tendevano uscendo dall'acqua, accompagnava lo scricchiolio del molo ad ogni suo passo. Rotoli di corde, casse di legno, reti da pesca ammucchiate alla bell'e meglio si confondevano nel buio della notte.


Un grosso ratto attraversò la banchina correndo, scomparendo poco più in là in un mucchio di stracci. Ander seguì con lo sguardo il percorso della bestia, e si accorse che c’era qualcuno sul bordo dell’acqua, chino e con le spalle rivolte verso di lui. Il primo istinto fu quello di ignorare la figura e continuare per la propria strada, come avrebbe fatto chiunque fosse voluto rimanere vivo in quella parte della città, ma con la coda dell’occhio vide che l’uomo stava tirando fuori qualcosa dalle acque del fiume. O meglio, qualcuno. Si fermò, incuriosito. Subito la figura rannicchiata si girò verso di lui, e lo squadrò con aria torva. 
Ander lo riconobbe subito, era il Guercio, uno dei mendicati di Malasorte. 
“Che hai da guardare?” chiese l’uomo tirandosi in piedi. Era piu’ alto di lui di almeno due spanne, anche se non era molto grosso. Dietro di lui, sull'orlo della banchina, Ander poteva intravedere un cespuglio di capelli rossi. Abbassò il cappuccio ma non si mosse di un passo. 
“Hei, ma tu sei il nano della locanda, quello del Quartiere Vecchio” esclamò il mendicante con un certo fastidio “Che ci fai qui?” 
Ander non rispose e si limitò a fissare l’uomo nell'unico occhio buono che gli rimaneva. 
“Che non parli?” lo apostrofò ancora il Guercio con la sua voce sgraziata, facendo un passo in avanti “Vedi di muoverti e sparire velocemente, questa roba è mia” disse accennando alla figura alle sue spalle. 
Ander continuò a rimanere immobile al centro della banchina, senza abbassare lo sguardo. 
“Forse non hai capito” ringhiò allora il mendicante estraendo un coltellaccio dalle vesti “Se non ti levi subito di torno ti butto ai pesci” e fece un altro passo in avanti sventolando minacciosamente l’arma. Ander lo squadrò per un momento, tirò su col naso e sputò. Uno sputo silenzioso, dritto e denso, proprio nell'occhio buono del mendicante. Il Guercio imprecò una volta e si coprì la faccia d’istinto, quindi Ander fece un passo in avanti e con uno scatto piazzò la destra fra le gambe divaricate del mendicante, che si piegò in due con un gemito soffocato. Poi lo afferrò per i capelli e gli assestò una testa sul naso, così forte che la vista gli si annebbiò per un attimo, mentre il Guercio crollava a terra con la faccia coperta di sangue. Ander gli si avvicinò e tirandolo su da terra per il bavero gli sussurrò all'orecchio “Non sono un nano”.


Marianna si svegliò in un letto caldo e morbido. Era notte e la stanza in cui si trovava era buia, anche se da una piccola finestra alla sua sinistra entrava abbastanza luce da riuscire a distinguere le poche cose intorno a lei. Un semplice armadio e una specie di cassapanca vicino al letto erano l’unico arredamento della stanza altrimenti spoglia. L’aria sapeva di muffa e tabacco. 
Provò a tirarsi su a sedere, ma non ci riuscì: si sentiva sfinita e si abbandonò subito nel letto, cercando di ricordare come fosse finita li. Ricordava il viaggio con Von Braun e i soldati fino alla Capitale, o quasi, e ricordava il mago scarlatto che minacciava la ragazza bionda. Ricordava di aver invocato il fulmine con l’aiuto del suo bastone e subito dopo di essere volata via lungo il fiume. Il suo bastone. Mosse istintivamente le mani sotto le coperte come aspettandosi di trovarlo lì, al suo fianco, e invece sentì qualcosa intorno ai polsi. 
Un improvviso lampo di luce seguito da un boato lontano illuminò la stanza, e si accorse di non essere sola.


Non preoccuparti, l’ho preso io quello” disse la figura che fino a quel momento era rimasta in silenzio nell'angolo più buio della stanza. Marianna si girò nel letto per guardare meglio il suo interlocutore. “E’ solo che quando ti ho trovata nel fiume eri attaccata così forte a quel bastone che ho pensato che era meglio togliertelo” spiegò la figura “Se e’ quello che penso, e se tu sei quella che penso, è meglio tenervi lontani” continuò con una risata bassa. 
Un altro lampo illumino’ la stanza, e Marianna ebbe per un attimo l’immagine chiara dell’uomo. Era piuttosto basso e tozzo, con una barba ispida che ne copriva gran parte del volto. Stava seduto con la schiena appoggiata al muro, con in mano una pipa spenta. Un altro boato in lontananza. “Spero che la finiscano presto con i fuochi d’artificio” riprese l’uomo “sono tre notti che non si riesce a chiudere occhio”. 
Marianna era in preda a emozioni contrastanti. Si era appena risvegliata in un letto sconosciuto, ed aveva i polsi legati, e le avevano tolto il suo bastone. Sarebbe dovuta essere allarmata, spaventata, ma non riusciva a provare timore per quell'ometto che le parlava in un modo cosi’ gentile. 
“Cosa sono i fuochi d’artificio?” si ritrovo’ a chiedere. 
“Oh, giusto, deve essere la prima volta che vieni da queste parti… I fuochi sono una trovata degli alchimisti per divertire i nobili dei quartieri alti. Fanno molto rumore e qualche luce colorata, li lanciano durante le feste… Sono tre giorni che il Re ha deciso di fare festa, da quando è tornato da un qualche viaggio si dice... non si capisce festa da cosa, comunque, visto che non è che di solito si ammazzino di lavoro…”. Un’altra fiammata nel cielo notturno illuminò il volto dell’uomo. Marianna poté distinguere le rughe che ne incorniciavano gli occhi, e capì che era molto più vecchio di quanto avesse pensato all'inizio. 
“Non sono magici, sai” continuò lui, con voce più bassa “E’ una qualche diavoleria alchemica... ma sono sicuro che tu te ne capisci più di me”.


Marianna socchiuse gli occhi e lo scrutò nella penombra della stanza 
“Chi sei tu?” chiese infine. 
L’uomo scoppiò a ridere “Allora e’ veramente la prima volta che vieni al Quartiere Vecchio” disse, divertito. “Sono Ander il Mezzonano, e questa è la mia locanda. Non ne troverai una migliore in tutta la Valle” recitò. “Ma il vero mistero, qui, è chi sei tu, donna dai capelli rossi” continuò incrociando le mani sul petto. Marianna ripensò all'incontro con il mago scarlatto, alla sensazione che aveva provato alla vista di quell'individuo e alle minacce che aveva sentito, e decise fermamente di tenere per sé la verità. Ma quest’uomo, anzi, questo mezzo-nano, sembrava conoscere già molte cose di lei, a partire dal suo bastone... A quel pensiero inconsciamente si guardò intorno, nella speranza di scorgerlo, ed infine lo vide, appoggiato in un angolo buio vicino alla porta. Si accorse che Ander la stava fissando, divertito.


Ti dirò una cosa, donna misteriosa. Di solito non ripesco donzelle dal fiume per riportarle a casa e offrire loro un letto, a meno che non ne valga la pena; ma ho sentito molte voci in questi giorni, voci molto interessanti. Per esempio che qualche notte fa i piromanti sono usciti tutti insieme dalle porte principali con in testa quel folle del loro capo, e poco dopo metà della riva orientale del Paludonso è andata in fiamme; e io ho come la sensazione che tu ne sai qualcosa. Si dice anche che gli inquisitori stanno cercando una strega che è entrata in città in qualche modo... e da ieri, beh, anche i mendicanti di Malasorte ti staranno cercando. Per cui capisci che per me tu vali un bel po’... ma vorrei capire esattamente quanto. Quindi ho deciso che te ne starai qui a letto finché non ti deciderai a raccontarmi per bene chi sei e che ci fai qui in città” spiegò il mezzo-nano. “Oppure finché le offerte per averti non saranno diventate così alte che la tua storia non mi importerà più nulla” concluse con un sorriso, come se stesse dicendo la cosa più naturale del mondo. Dopodiché si alzò, si diresse verso la porta, raccolse il bastone e uscì, lasciandola sola con l’eco lontana della festa. 

Questa è solo una delle molte storie che si raccontano su come la strega Marianna abbia incontrato il Mezzonano, e ancor di più ancora sono i racconti di quello che avvenne dopo quella notte. Secondo alcuni furono i mendicanti i primi a presentarsi alla Locanda, armati non solo di intenzioni bellicose, costringendo il locandiere a ricorrere a una soluzione inattesa per salvare la sua proprietà. Secondo altri fu Ander a decidere del destino della strega, mettendo in moto una catena di eventi che terminò con qualcosa di molto più grande di lui. C’è infine chi racconta di come Marianna riuscì a convincere il Mezzonano a desistere dai suoi intenti, e i due finirono per trovarsi insieme in un’avventura inaspettata. Qual è dunque la storia che volete sentire?



Antica ricetta per cucinare debitamente i ricci di mare

Se volete leggere l'episodio precedente andate all'indice oppure cliccate QUI

3 commenti:

  1. Io voto 3, voglio la combo mezzonano - strega! Inoltre un plauso speciale per aver citato tra le righe il viaggio del Re a Mortara e i relativi 3 giorni di festeggiamenti! ^^

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  2. Anche io voto la 3 e spero che Marianna ritrovi la sua libertà, non deve essere prigioniera di nessuno.
    Complimenti per lo stile evocativo, e per il consueto stacco tra l'introduzione e la storia, molto elegante:)
    H.G.

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  3. Voto la 2, potere ai mentecatti!

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Leali sudditi!
I commenti alla bacheca Reale sono assolutamente liberi, ma il Re ha ordinato espressamente che, qualora il o gli imbecilli di turno dovessero affiggere commenti inutili o lesivi dell'onore della corona, essi verranno immantinente rimossi insieme alla a testa del o degli autori, che in ogni caso non sentiranno molto la mancanza di un organo che non hanno mai utilizzato.

Con velenosa franchezza,

Archibald Lecter, segretario particolare del Re